Nel settore automotive, dove processo tecnologico e innovazione sono veloci e competitivi, le problematiche legate alla tutela della proprietà intellettuale sono molto sentite; in questo mercato che cambia, da una parte per il sempre maggiore tasso di innovazione tecnologica e digitale, e dall’altra per il fatto che si va sempre di più verso una società della conoscenza e delle informazioni, il sistema della protezione intellettuale è sottoposto a non poche perplessità.
Il primo strumento di tutela a venir messo in discussione in seguito all’invasione delle tecnologie “immateriali”, che suggeriscono nuove combinazioni fra ciò che è fisico e ciò che è virtuale, è il brevetto: se da un lato la pratica brevettuale mantiene valida la sua funzione di protezione attribuendo all’inventore l’esclusività dell’invenzione stessa e conferendo maggiore credibilità e prestigio alle società che possiedono la titolarità di un buon numero di brevetti, dall’altro la fama di strumento principe dell’innovazione è minata dall’aria di cambiamento che si respira nel mondo delle nuove tecnologie.
La digitalizzazione porta anche le aziende automobilistiche a proteggere invenzioni e prodotti che in linea teorica non possono rientrare in ciò che è brevettabile: il software, su cui si dibatte spesso a proposito della tutela dei diritti di proprietà intellettuale, non può essere brevettato ma viene tutelato al pari delle opere letterarie, in quanto ciò che contiene all’interno del “codice sorgente” è considerato al pari di una poesia.
Possiamo quindi rilevare grandi discontinuità nel mondo della protezione intellettuale: la sempre minore tenuta dei brevetti in giudizio, lo sfumare dei confini fra ciò che immateriale e ciò che è brevettabile (come nel caso del software), il distacco dei brevetti dal loro originario ruolo di ”difensori dell’inventore”, portano a un ripensamento radicale del processo che genera innovazione, obbligando le aziende a rivedere le posizione di strategie per la difesa delle proprietà intellettuali.
Ed è proprio l’imponderabile che caratterizza il settore dell’innovazione che fa riflettere su come valorizzare le opere di ingegno immateriali, che sono destinate ad essere il nostro futuro e da dove dovrà passare lo sviluppo economico, ricorrendo allo strano connubio tra brevetto e diritto d’autore, in cui la protezione deve essere intelligente per evitare di mettere in atto meccanismi costosi, burocratici e inefficaci.
La trasformazione digitale comporta anche un adeguamento giuridico della tutela della proprietà intellettuale e del diritto d’autore, dove in un prossimo futuro l’interazione fra uomini e intelligenza artificiale segnerà la fine dei sistemi proprietari tradizionali.
Stiamo parlando degli NFT (Non-Fungible Token), sistemi che permettono di certificare la rarità digitale di un bene: opere d’arte, video, fotografie, oggetti di lusso , ultima frontiera della tecnologia Blockchain e della proprietà intellettuale online.
La regolamentazione di questa nuova economia virtuale è molto diversa da quella fisica, tant’è che sono nati gli “smart contract”, contratti intelligenti che normano la cessione, dall’autore a terzi, dei diritti patrimoniali di un bene digitale.
L’acquirente di un NFT, oltre ai diritti d’autore, acquista anche un certificato che consente di tenere traccia e provare la proprietà della copia digitale acquistata, mentre l’autore può sfruttare economicamente la propria opera un numero infinito di volte trovando remunerazione dalla vendita del token collegato all’opera stessa.
Pur con le dovute cautele, soprattutto legate alle truffe e alle garanzie che i dati immessi siano genuini, e al più sentito e immediato problema ambientale (il processo per creare un singolo NFT ha bisogno di un quantitativo enorme di energia), questo sistema permetterà nei prossimi anni, di automatizzare la provenienza della proprietà intellettuale, facilitando la gestione dei diritti fino ad oggi a esclusivo appannaggio di enti preposti (es. Siae).